A Venezia dal 20 maggio al 26 novembre la 18esima Mostra internazionale dedicata quest’anno alla transizione ecologica di luoghi e spazi d’arte.

Cambiamento. È la parola che fa da filo conduttore alla Biennale di Architettura di Venezia curata in questa diciottesima edizione da Lesley Lokko, docente, scrittrice, fondatrice e direttrice dell’African Futures Institute, in Ghana. The Laboratory of the Future è il titolo della grande Mostra internazionale che resterà aperta alla stampa il 18 maggio, proprio nella Giornata Internazionale dei Musei promossa da ICOM (International Council of Museums) quest’anno dedicata al tema “Musei, Sostenibilità e Benessere”. Mettendo in evidenza come i luoghi dell’arte contribuiscano in modo determinante al benessere e allo sviluppo sostenibile delle comunità.

Obiettivo: neutralità carbonica

Riflessioni riprese dalla Biennale Architettura che aprirà al pubblico il 20 maggio (resterà aperta fino al 26 novembre) contesto in cui si affronteranno i temi della decolonizzazione e decarbonizzazione puntando i riflettori sull’Africa. Non solo. Per la prima volta verrà sperimentato un percorso per il raggiungimento della neutralità carbonica per contrastare il cambiamento climatico. Un impegno che è già stato preso dalla Biennale per tutte le manifestazioni, compresa la  Mostra Internazionale del Cinema – sia per l’edizione del 2021 che per il 2022 ottenendo per entrambe la certificazione di neutralità carbonica – e che ora replica per la grande manifestazione sull’Architettura che si terrà tra i Giardini, l’Arsenale e altri luoghi in laguna.

Biennale Architettura 2023: a Venezia il mondo che cambia

Per quanto riguarda le emissioni, l’obiettivo della Biennale è stato azzerare completamente l’impatto carbonico lavorando in due direzioni: ridurre le emissioni organizzando tutti gli eventi in base ai principi di sostenibilità ambientale e compensare quelle residue acquistando crediti di carbonio certificati sia in India che in Colombia. 

Tutti coinvolti

Inevitabile che tutti, dai fornitori fino al pubblico, saranno coinvolti in questo cambiamento: devono partecipare alle riduzione dell’impronta carbonica dalla Biennale Architettura. Le principali azioni messe in campo sono: l’utilizzo di energia proveniente da fonte rinnovabile; la riduzione dei materiali e il loro riciclo; il riutilizzo delle attrezzature e degli allestimenti; l’inserimento di piatti vegetariani e di prodotti a chilometro zero nell’offerta di ristorazione; l’ottimizzazione della logistica per ridurre i tempi di percorrenza. Ma siccome Venezia è una delle mete del turismo di massa e la mobilità è la componente più rilevante dell’impronta carbonica non si può stare a guardare. Così anche sui visitatori verrà fatta un’opera di sensibilizzazione comunicando percorsi per la riduzione dei tempi.

“È stato chiaro fin dal principio – ha spiegato ancora la curatrice – che The Laboratory of the Future avrebbe adottato come suo gesto essenziale il ‘cambiamento’, rendondo la mostra un insieme di racconti in grado di riflettere lo splendido caledoscopio di idee, aspirazioni, contesti”.

Raccontare le storie del nostro tempo

Per la prima volta alla Biennale Architettura, i Progetti Speciali della Curatrice e i Partecipanti Speciali costituiscono una grande categoria, vasta come le altre, fuori concorso. Tre di queste categorie, Mnemonica; Cibo, Agricoltura e Cambiamento Climatico; e Geografia e Genere esaminano espressamente il complesso rapporto tra memoria e architettura; tra cambiamento climatico, pratiche territoriali e produzione alimentare e tra genere, architettura e performance. Sono presentati opere di giovani africani e diasporici, i Guests from the Future, architetti, urbanisti designer ingegneri e accademici il cui loavoro si confronta direttamente con i due temi della mostra, la decolonizzazione e la decarbonizzazione.

Ma i temi dell’ambiente, del clima, delle conseguenze che avrà sul nostro futuro l’emergenza posta dal cambiamento climatico si ritrova in quasi tuti i padiglioni.  Già dal nome. Così quello dell’Argentina all’Arsenale si chiama El Futuro del Agua, o quello della Corea dal titolo 2086: Together How? Che ci narra di una rivoluzione eco industriale. Oppure quello della Croazia Same as it Ever Was che ci racconta attraverso l’architettura quel dialogo tra Uomo e Natura ai tempi della crisi climatica, o la Danimarca che con Coastal Imaginaries dà la sua visione su come fronteggiare i grandi problemi ecologici. Ma sono tanti gli spunti di riflessioni e le suggestioni. Il Brasile è il più chiaro di tutti. Il suo padiglione si chiama Earth e ci parla delle popolazioni e i loro territori. O il Belgio, con In Vivo che ci pone questa domanda “Come possiamo ripensare l’architettura in un mondo di risorse limitate?”.