A inizio anno l’isola è già in emergenza e manca un piano per affrontare la crisi. Assenza di invasi e condutture idriche fatiscenti aggravano la situazione

Nella Terra dove l’acqua cade dal cielo soltanto nel momento sbagliato, le arance si stanno facendo sempre più piccole. Il grano quasi non cresce più nell’Ennese, gli alberi da frutto si seccano nel Palermitano. La Sicilia è in forte crisi idrica già ad inizio anno, ma per l’isola non ci sono i grandi piani per l’acqua come le navi cisterna che potrebbero aiutare Barcellona e la Catalogna, e nemmeno miliardi investiti nei desalinizzatori, o in politiche idriche d’emergenza come in Spagna.
Qui, in Sicilia, o manca completamente o in certi invasi l’acqua addirittura c’è ancora, solo che gli impianti per utilizzarla non funzionano.

Così come non riescono ad essere efficaci i piani per stoccare l’acqua o conservarla: all’inizio dello scorso anno le precipitazioni non sono mancante ma poi – come da perfetto identikit della crisi del clima – nella seconda metà del 2023 il cielo ha chiuso i rubinetti portando a sei mesi fra i più aridi da oltre un secolo. In certe province si sfiora il 100% di deficit, ora si raziona l’acqua.

Da settembre a dicembre 2023 l’ammanco complessivo di pioggia è stato di 220 millimetri, solo a dicembre un deficit con picchi anche del 96% tra le province di Enna (-81,5% in media) e Catania (-80%). Stesso trend a gennaio e ora, a inizio febbraio e in pieno inverno, la siccità impone alla Sicilia come alla Sardegna di razionare la poca acqua che c’è. Nello strato di suolo da 0 a 100 centimetri di profondità le condizioni sono già critiche. Anche se dovesse iniziare a piovere (a partire da questo weekend) non è detto che  nelle prossime settimane e in primavera si accumulerà l’acqua necessaria a cambiare la condizione del suolo: lo scenario di stoccaggio elaborato da Copernicus, per esempio, racconta che a luglio il deficit idrico per regioni come la Sicilia potrebbe risultare drammatico.

Nonostante anche il commissario italiano contro la siccità nominato dall’attuale governo, Nicola Dell’Acqua, sia intervenuto per spiegare che “l’Italia sta diventando un Paese povero di acqua”, mancano però misure concrete per rispondere a questo deficit che mette in ginocchio l’isola. La Regione, nel frattempo, sulla spinta dei tanti agricoltori siciliani che si sono uniti alla protesta dei trattori, punta a chiedere al Governo di dichiarare lo stato di calamità naturale per affrontare la siccità e quelle crisi, dal comparto vitivinicolo sino alla zootecnia, che oggi hanno bisogno di sostegno. Un sostegno che però non può essere solo economico, come ricorda chi coltiva arance.

Il caso delle arance sempre più piccole

Come racconta a Green&Blue Federica Argentati, alla guida del Distretto Agrumi di Sicilia, servirebbe infatti innanzitutto “una gestione diversa e migliore dei Consorzi di bonifica che andrebbero subito riformati. Così come garantire le risorse, per tutti, di accesso alla poca acqua che c’è”. “Rispetto agli altri anni, per i coltivatori di arance – continua  Argentati – oggi il problema maggiore è non solo una produzione minore, ma il fatto che a causa di precipitazioni cadute nel momento sbagliato o dall’assenza di acqua, si ritrovano con arance più piccole. Visto che sono in abbondanza quelle di calibro piccolo, abbiamo perfino fatto una campagna di comunicazione – “per piccina che tu sia ci fai il pieno di energia” – per far capire ai consumatori che sono comunque buonissime e vanno consumate. Ma non sempre è semplice far passare il messaggio.  Ora, non piovendo da mesi, stanno aumentando i costi di produzione e alcuni quantitativi di arance sono stati indirizzati verso l’industria di trasformazione di succhi e spremute, essendo il mercato del fresco in difficoltà”.

Fra i problemi principali nell’affrontare la siccità costante secondo Argentati ci sono “l’obsolescenza delle strutture irrigue, le problematiche di invasi dato che non raccolgono l’acqua quando arriva e ovviamente le risorse economiche”. Attualmente, mentre si è in piena campagna per la raccolta, il Distretto sta provando a puntare  sulla diffusione di “tecniche di agricoltura 4.0 con stazioni metereologiche e sensori all’interno dei terreni e delle aziende agricole che misurano l’evapotraspirazione e consentono di capire quando irrigare o meno, per evitare sprechi. Sono tutti aspetti innovativi e utili, che però non rispondono alla domanda cruciale: ma se non piove più, che si può fare?”.

Più che agli invasi, guardare a ridurre la domanda d’acqua e migliorare i suoli

In alcune aree del Catanese la produzione delle famose arance rosse è calata anche del 50% e i coltivatori si chiedono cosa succederà quest’estate, quando sarà tempo di irrigare. La grande difficoltà è infatti quella di riuscire a guardare al futuro: cosa accadrà in una Sicilia che per aridità, siccità e desertificazione, oggi assomiglia sempre più all’Algeria? Con invasi che non funzionano – come quello di Lentini bloccato da un guasto meccanico che non permette il sollevamento dell’acqua – e altri già all’asciutto o impattati dall’evaporazione nella calda Sicilia, e fra pompe e pozzi che non tirano su risorse idriche a sufficienza, come si manderanno avanti vita e coltivazioni?

Se finora come sistemi di accumulo ci si è basati soprattutto su invasi e infrastrutture capaci di ridistribuire poi l’acqua piovana – in maniera non sempre efficace, ancor meno ora che di pioggia non ce n’è – per un futuro “senz’acqua” anche in Italia secondo il direttore del Cirf (Centro Italiano per la Riqualificazione) Andrea Goltara la chiave sarà quella di ridurre la domanda idrica.

Goltara sèiega la sua ricetta: “Come in Catalogna, anche qui servono strategie sul lato della domanda e non solo dell’offerta. Per esempio puntando alla capacità del suolo di trattenere umidità. Lavorare per migliorare il contenuto organico del suolo, che è una delle indicazioni dei piani europei come la Nature Restoration Law, significa trattenere più acqua a parità di precipitazioni. Un suolo desertificato, come quello siciliano, perde tantissima acqua. Partire dalla sua cura, così come dall’idea di ripristinare la biodiversità in ambito agricolo, fa sì che il suolo funzioni da spugna e trattenga l’acqua”.